Se la politica è il luogo della progettazione e se progettare significa dare forma al futuro, allora una politica che non guardi ai giovani come al proprio orizzonte di senso è destinata al fallimento.

Torino oggi vive i mali che vivono tante altre città italiane ed europee: spopolamento, invecchiamento demografico, disoccupazione…

Rispetto a tante altre città, però, Torino ha nel suo tessuto sociale le risorse di sistema per reagire a questi fenomeni, smettere di subirli e cominciare a contrastarli. A chi si candida a governare questa città, in particolare, spetta l’onere di attivare queste risorse e di trarne tutti i benefici possibili.

In questo senso, il punto da cui partire, ma anche quello a cui ritornare come fine ultimo dell’agire pubblico, non può che essere l’attivazione di un’azione politica che guardi ai giovani, per i giovani, con i giovani.

L’area urbana si spopola e invecchia progressivamente perché da diversi anni Torino ha smesso di essere, per le nuove generazioni, luogo di affermazione e crescita e, dunque, spazio nel quale pianificare il proprio futuro.

Non c’è dubbio che Torino rappresenti ancora una città capace di fornire occasioni di formazione, anche di eccellenza. Lo dimostra l’afflusso costante di matricole, dottorandi, ricercatori, non solo dall’Italia. È meta vivace di mobilità internazionale, grazie all’affermazione sul piano scientifico-accademico di Università e Politecnico, che con i loro poli e centri di ricerca attraggono giovani da tutto il mondo. 

Ma è altrettanto vero che Torino, attualmente, è diventata una realtà in cui si transita, ma senza per questo sentire la necessità di gettarvi radici.

Il risultato è una grande dispersione di energie e risorse messe in campo per la formazione di chi poi non si sente implicato nella sfida dello sviluppo locale.

Stanti così le cose, è chiaro che la sfida per l’amministrazione di domani non può che essere trasformare Torino in una città in cui nascere e restare; in cui arrivare per poi sceglierla come luogo di esistenza.

Per farlo la via è obbligata e passa attraverso il lavoro come opportunità di vita. Di una vita buona. Solo attraverso il lavoro, che crea indipendenza e autonomia, i progetti si fanno prospettiva di vita; le relazioni umane si fanno emancipazione sociale; la formazione si concreta in benessere.

In termini di discontinuità con il passato, la cifra del cambiamento potrà essere data dall’avvio di scelte coraggiose capaci da una parte di valorizzare l’esistente, ossia le forze e le occasioni di sviluppo latenti, che aspettano di essere colte e incentivate attraverso una loro messa in rete; dall’altra di creare nuove fonti di occupazione, attraverso piani di sviluppo e innovazione sostenibili e integrati.

Tanto in un senso come nell’altro, dunque, attivare politiche capaci di garantire connessioni tra talenti, offerta e formazione appare la prima azione necessaria. Si fa sempre più evidente, infatti, lo stallo che vive il mondo del lavoro, il quale, oltre al problema della contrazione del numero di posti, paga anche i limiti di una condizione di cronica incomunicabilità nel sistema domanda-offerta.

La dimensione piccola e media della maggioranza delle imprese che animano il panorama torinese condiziona spesso la loro iniziativa occupazionale, resa timida dalla paura di non essere successivamente in grado di reggere il peso dell’onere di una assunzione a lungo termine o di non riuscire a trovare il profilo professionale consono alle proprie necessità, dovendo poi impiegare risorse ulteriori per garantire la specializzazione del lavoratore.

D’altra parte è evidente il senso di disorientamento vissuto dai giovani che si affacciano al mondo del lavoro, privi degli strumenti necessari per mettere a punto una loro personale strategia occupazionale di fronte alle esigenze del mercato. Di qui l’ingrossarsi progressivo di un bacino di giovani che vivono il prolungarsi dell’esperienza formativa (anche d’eccellenza) non come una vocazione o come la messa a frutto di un talento personale, ma solo come occasione per ritardare il più possibile il momento del loro affacciarsi sul mondo del lavoro, con ciò dimenticando che senza un monitoraggio costante del mercato, l’iper-professionalizzione può trasformarsi in un limite personale piuttosto che in una occasione. E’ così che, per molti giovani, il primo contatto con il mondo del lavoro si concreta nella delusione di dover constatare che la loro formazione non è adeguata alla richiesta del mercato. 

Risulta con ciò evidente che il primo segno di discontinuità con il passato, un’amministrazione dedicata a fare di Torino una città (anche) per giovani lo da’ ripensando il proprio ruolo, ossia proponendosi innanzitutto come facilitatore di relazioni, connettore di mondi. È nella capacità di costruire sistema che si misura l’attitudine al governo di un amministratore locale: nella capacità di far convergere formazione, offerta e domanda in una stessa direzione, innescando circuiti virtuosi tra individui, corpi intermedi e società civile nel suo complesso

Bisogna che sappia farsi garante delle politiche di occupazione delle imprese, sostenendole nelle difficoltà e favorendo la stipula di contratti a lungo termine o a tempo indeterminato; che sappia agevolare la creazione di percorsi di formazione in dialogo con l’offerta; che sappia valorizzare il capitale umano di coloro che si affacciano al mondo del lavoro per la prima volta, puntando alla messa in pratica di efficaci procedure di allocazione (già felicemente sperimentate in alcune realtà torinesi, ma ancora non sistematizzate), così da ridurre al minimo il tempo di disoccupazione fisiologica che passa tra la chiusura del proprio percorso di formazione e il primo impiego.

L’obiettivo è l’affermarsi di una pubblica amministrazione impegnata in una operazione di management pubblico della conoscenza per potenziarne i frutti, investendo, in particolare in azioni di infrastrutturazione sociale così da favorire l’agire del privato con finalità di interesse pubblico.

Abbandonando una prospettiva che ormai risulta superata dai tempi, infatti, parlando di pubblico e privato è necessario cominciare a ragionare in termini di virtuosa collaborazione piuttosto che di irriducibile contrapposizione. Solo se letti in ottica di cooperazione lo spazio del pubblico e del privato potranno esprimere al meglio le loro potenzialità, creando i presupposti per lo sviluppo integrato della città.

È innegabile, infatti, che un’amministrazione che si ponga obiettivi a lungo termine (come non potrebbe essere diversamente se si parla alle nuove generazioni) deve essere in grado di creare, tanto sul piano pubblico che privato, i presupposti, affinché tutta la carica innovativa e creativa di cui i giovani sono capaci possa emergere e fiorire, portando frutti. 

Connettere e sviluppare divengono parole chiave nella costruzione di politiche in grado di offrire opportunità così da attrarre, trattenere e far radicare i giovani a Torino. 

Innovare procedure e conoscenze rappresenta la sfida che i tempi impongono: innovare dal punto di vista tecnologico, puntando sull’emergere delle start up, come luogo privilegiato della creatività giovanile; innovare dal punto di vista infrastrutturale, come presupposto ineludibile, affinché Torino si imponga come luogo in cui scegliere di vivere e investire. Una Torino facilmente connessa con il resto del mondo, infatti, è una città di cui godere per le sue dimensioni e per le sue reti umane, senza rinunciare ai vantaggi che la relazione con altri centri facilmente raggiungibili possono offrire.

Discontinuità con il passato, significa allora anche ripensare la città in termini di opportunità per i giovani. Di tutti i giovani. Non solo quelli che già sono titolari di voto. Solo così sarà possibile agire in contrasto a un disagio che colpisce fasce di età sempre più basse.

Nel concepire la città di oggi siamo chiamati a pensare alla città di domani: il che impone scelte sostenibili, dal punto di vista sociale, ma anche dal punto di vista ambientale.

C’è una responsabilità intergenerazionale a cui non possiamo sottrarci che obbliga a guardare all’oggi con addosso il peso del domani, affinché il costo del nostro stile di vita attuale non sia pagato dalle generazioni a venire.

L’agenda in tema di politiche giovanili, in questo senso, diventa tutt’uno con il concepimento di piani di protezione dell’ambiente e del nostro ecosistema. È innegabile che l’innesco di una rivoluzione ambientale rappresenti la più forte rivendicazione avanzata, non solo nelle piazze, dai più giovani; ed è innegabile che chi si candida a governare una città che pretende essere luogo di elezione di vita per i giovani non possa mostrarsi indifferente a questa istanza.

L’opportunità di cambiare si presenta ora. E le prospettive per farlo ci appaiono chiare.

Innanzitutto partendo dal ripensamento di Torino in chiave policentrica, restituendo vitalità alle periferie animate da un capitale umano che non può e non deve essere disperso; permettendo stili di vita caratterizzati dalla prossimità; fomentando sentimenti di appartenenza ai luoghi e alla comunità. Tutto ciò lo si fa ristrutturando il sistema del trasporto pubblico, sostenendo l’associazionismo, favorendo iniziative culturali sul territorio, ma soprattutto educando al “bello”, a un nuovo senso estetico-funzionale della città, come antidoto al degrado urbano che si fa degrado sociale e come presupposto per diffondere la pratica del prendersi cura della cosa pubblica. 

Una città smart del resto non può che essere una città che riparte dalla valorizzazione delle proprie periferie a cui guardare come luogo di opportunità e non solo come problemi da risolvere. Una visione policentrica della città permette un contatto tra pubblica amministrazione e cittadini diversamente non raggiungibile e consente cambiamenti sociali che si fondano su occasioni di riscatto sociale, come sono quelli che passano attraverso politiche di supporto all’impegno di cura, che spesso grava solo sulle donne, e permettono di scardinare una consolidata narrazione sociale, consentendo alle più giovani di costruirsi un’idea di sé libera da stereotipi di genere.

Ci muove la convinzione che una città che non punta a trasformarsi in luogo di opportunità per i giovani è una città che ha già rinunciato al suo futuro.

Non si tratta di mettere in competizione generazioni diverse. Si tratta piuttosto di avere la capacità di integrare esigenze ponendo le basi per un nuovo patto sociale che sappia assicurare benessere e cura reciproca di interessi, solo apparentemente contrastanti. 

Siamo consapevoli che è più facile mettere in contrapposizione piuttosto che mettere in comunicazione istanze diverse. Ma gestire il conflitto (anche quello di natura intergenerazionale) rappresenta una funzione cui la politica (e dunque chi si candida a governare la nostra città con il nostro patrimonio valoriale) non può sottrarsi.

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