UNA piccola città nella grande città. Un universo composto da oltre 15 mila gatti randagi, che vivono in oltre 1.500 colonie feline sparse per Torino. E per ogni colonia una o più “gattare” che si occupano del mangiare e dello stato di salute dei mici. L’indagine è del Comune in collaborazione con l’Università di Torino, dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi.
Uno spaccato voluto dall’assessore all’Ambiente Enzo Lavolta per capire come affrontare i problemi che possono sorgere. Quello delle colonie feline e di chi accudisce i gatti randagi, oltre l’80 per cento sono donne, è un mondo “sommerso” che sfugge, tra casette assemblate alla bell’e meglio e ciotole sparse agli angoli delle strade o nei cortili.
L’80 per cento delle gattare ha più di 50 anni e poca disponibilità economica. Quattro su dieci dichiarano di occuparsi dei mici della zona da più di dieci anni. Un terzo delle “volontarie” sostiene di spendere più di 500 euro al mese per il cibo dei gatti. E tutti, uomini compresi, anche se in misura minore, mettono mano al portafoglio per rendere più agevole la vita alle colonie che seguono. La metà non spende nulla per il veterinario e le sterilizzazioni. Le “gattare” sono le sentinelle della popolazione felina randagia di Torino: conoscono il numero preciso di esemplari che compongono la colonia e sanno valutare lo stato di salute, nonostante l’impegno di tempo modesto. La volontaria tipo si presenta alla colonia una volta al giorno, per meno di mezz’ora e soprattutto al mattino. “Conoscere meglio queste persone, avere la possibilità di contattarle – sottolinea Lavolta – ci permette di avere una quadro chiaro della popolazione felina, pensando a collaborazioni “.
Sul cibo, ad esempio, esistono circuiti di associazioni catofile, un terzo delle gattare dichiara di avvalersene, e punti dove si possono recuperare gli avanzi alimentari di mense, negozi e supermercati. Solo il 4 per cento dei volontari ne approfitta: “Su questo punto – dice Lavolta – si può lavorare per incrementare la percentuale. Si tratta di alimenti o prodotti che vanno buttati, meglio recuperarli”.
Quello che interessa di più l’assessore all’Ambiente è lo stato di salute dei gatti. Il 70 per cento delle colonie non ha problemi di salute, “ma la situazione va monitorata in maniera costante per evitare effetti a catena sulla popolazione torinese”, spiega l’assessore.
Una colonia tipo è composta da dieci mici e nel 68 per cento dei casi si trova in un’area privata, ma le lamentele sono sporadiche. Le colonie sono tollerate e le lamentele dipendono principalmente dai cattivi odori. Il problema principale, per i gatti e gli automobilisti, è il rischio incidenti, mentre per le “gattare” il rischio maltrattamenti è trascurabile. Oltre al cibo, ai gruppi di gatti viene fornito anche un ricovero adeguato: il 35 per cento delle casette viene realizzato dai “volontari” stessi.
L’ultimo esempio di collaborazione sul fronte felino ha coinvolto il gruppo Cnh per una nuova gestione della mega colonia di gatti all’interno dello stabilimento Iveco di lungo Stura, dove circolano tra gli 80 e i 100 gatti. Diversi dipendenti hanno anche “adottato” i mici, rivedendo i punti di alimentazione, ridotti da dodici a sei. Non solo. L’azienda ha lanciato un programma di cattura, sterilizzazione e reinserimento dei gatti.
Quello della sterilizzazione è uno dei problemi più seri: su 15 mila gatti si calcola che solo la metà sia stato trattato. E i numeri delle colonie potrebbero lievitare ancora, e di molto.
23-07-2015 LaRepubblica-Quindicimila felini le gattare spendono 500 euro al mese
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