La storia di Gandhi sembra ripetersi in questi giorni in Birmania e ci sono vittime tra i sostenitori pacifici della rivoluzione silenziosa contro i militari che lì detengono il potere.

Esprimo la mia più dura condanna per le violenze del regime militare birmano nei confronti dei monaci.

La comunità internazionale non può accettare quanto sta avvenendo.

Il regime deve sospendere immediatamente ogni repressione, liberare Aung San Suu Kyi e tutti i prigionieri politici e indire elezioni libere e democratiche.

Le Nazioni Unite e l’Unione Europea devono inasprire le sanzioni commerciali, diplomatiche e politiche e intervenire a sostegno dell’opposizione democratica che da anni porta avanti una straordinaria lotta non violenta.

Il Partito Democratico è a fianco dei monaci, degli studenti e di tutti i democratici birmani.

Il Governo italiano e l’Unione europea devono schierarsi con il popolo birmano senza le cautele dettate dall’interscambio economico con la dittatura.

In politica estera va perseguita ovunque la strategia del ‘cambio di regime’, senza nessuna indulgenza verso satrapi e caudilli vari, perché solo la democrazia è garanzia di pace e sviluppo

Myanmar: appello per cessare la repressione:

La sera del 25 settembre circa 300 persone sono state arrestate durante le proteste contro la giunta militare del Consiglio di Stato per la pace e lo sviluppo (Spdc), nell’ex capitale Yangon, nella seconda città più grande, Mandalay, così come a Meiktila, a Pakokku e a Mogok. Amnesty International ha appreso che diverse persone sono entrate in clandestinità per evitare l’arresto.Alcuni arresti erano già avvenuti la sera del 24 settembre, ma la maggior parte ha avuto luogo nelle successive 36 ore, con l’intensificarsi del giro di vite da parte delle forze di sicurezza. Tra le persone arrestate vi sono tra i 50 e i 100 monaci di Yangon, il parlamentare Paik Ko e almeno un altro esponente del principale partito d’opposizione, la Lega nazionale per la democrazia (Nld) guidata da Aung San Suu Kyi, diversi altri membri dell’Nld e altre figure pubbliche, tra cui il famoso attore e prigioniero di coscienza Zargana (conosciuto anche come Ko Thura). Amnesty International crede che questi e altri detenuti si trovino a rischio di tortura o altri maltrattamenti.Fonti governative hanno confermato ai giornalisti che almeno tre monaci sono stati uccisi a Yangon: uno da un colpo d’arma da fuoco e gli altri due a seguito di un pestaggio. Fonti non ufficiali hanno fatto sapere ad Amnesty International che oltre 50 monaci sono rimasti feriti.Nonostante l’alta tensione, migliaia di persone continuano a manifestare nelle strade contro il governo, guidate dai monaci, i quali hanno però voluto proteggere la popolazione chiedendo di non prendere parte alle dimostrazioni.Sembra che le forze di sicurezza abbiano percosso i manifestanti con manganelli, utilizzato gas lacrimogeni per disperdere la folla che sfidava il recente divieto di raduno di più di 5 persone e sparato colpi di avvertimento in aria.Le proteste pacifiche hanno avuto inizio ad agosto, in risposta al brusco aumento del prezzo dei carburanti. I monaci buddisti, che hanno preso la guida delle proteste dopo che alcuni di loro erano stati feriti nella città di Pakokku, chiedono la riduzione del prezzo dei generi di prima necessità, il rilascio dei prigionieri politici e un processo di riconciliazione nazionale per risolvere le profonde divisioni politiche interne.La mattina del 25 settembre, le autorità hanno iniziato il giro di vite sui manifestanti, introducendo un coprifuoco di 60 giorni dalle 21 della sera alle 5 del mattino e avvisando la popolazione che sarebbero stati adottati provvedimenti di legge contro i dimostranti.Le violazioni dei diritti umani a Myanmar sono diffuse e sistematiche. Tra queste vi è l’utilizzo di bambini soldato e il ricorso ai lavori forzati. Inoltre, sono in vigore leggi che criminalizzano l’espressione pacifica del dissenso politico.Alla fine del 2006, la maggior parte degli esponenti di primo piano dell’opposizione era agli arresti o sottoposta a forme di detenzione amministrativa e 1160 prigionieri politici erano detenuti in condizioni via via più dure. Gli arresti avvengono spesso senza mandato e i detenuti sono costretti a trascorrere lunghi periodi d’isolamento; la tortura è praticata regolarmente nel corso degli interrogatori; i processi nei confronti degli oppositori politici seguono procedure non in linea col diritto internazionale e agli imputati viene frequentemente negato il diritto a scegliere un avvocato, se non addirittura ad averne uno. La pubblica accusa fa ricorso a confessioni estorte con la tortura.Per approfondimenti sulla situazione dei prigionieri politici in Myanmar: “Myanmar’s Political Prisoners: A Growing Legacy of Injustice”

http://web.amnesty.org/library/Index/ENGASA160192005

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da La Stampa 28/9/2007 (9:22)

Oscurato il principale canale di informazione, proteste su Internet

YANGON

Il principale collegamento a Internet di Myanmar (ex Birmania) ha smesso oggi di funzionare. Lo ha detto un responsabile locale delle telecomunicazioni secondo il quale l’interruzione è stata causata da «un danno ad un cavo sottomarino». Dopo due giorni di repressione da parte dei militari delle manifestazioni di protesta, viene così a mancare il principale canale di diffusione di informazioni e foto da parte della dissidenza birmana su quanto sta accadendo nel paese.

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